mercoledì 25 luglio 2007

sahara, il primo impatto


novembre 1986, le ruote del 737 toccano l’infuocato asfalto dell’aeroporto di Tamanrasset.
ci scaricano i bagagli in mezzo alla pista, trascino la mia sacca dentro al terminal, non pensavo esistesse un aeroporto così,
non lo sapevo ancora, ma negli anni seguenti avrei visto di peggio.

entro, dentro solo persone, una ressa incredibile, ed in fondo l’uscita – uno sguardo, ci siamo tutti, siamo solo in quattro, diamo una mano a Clara e ci avviamo verso l’unica uscita.
arriviamo alla porta, fuori il nulla, solo il deserto …ecco perché lo chiamano così;
ci guardiamo negli occhi, nessuno parla, il pensiero di ognuno è lo stesso: siamo venuti qua ad arrampicare, ma possiamo contare solo su noi stessi: american express, travel cheque, tutto inutile, bisogna arrangiarsi;
con pochi franchi in tasca e tanta fantasia, sacca in spalla,

inizio a seguire l’unica strada verso Tam.

non so come ma ci arriviamo,
finché non vedi è difficile immaginare…
rosicchiando una baguette vaghiamo per i vicoli, Clara parla un po’ in francese, chiediamo, riusciamo a trovare un vecchio land rover e Fudil è disposto a portarci ad arrampicare per i prossimi dieci giorni.
ci accordiamo sul prezzo – praticamente tutto ciò che abbiamo, tanto dormire nel deserto non costa niente e per mangiare… penseremo dopo.

Fudil, sono passati più di vent’anni ed ancora sento tra le labbra il sapore del suo thé à la menthe,
lo vedo smontare e riparare con pochi attrezzi la pompa della frizione del land che è cassé,
lo vedo mentre prepara il cous-cous avec la viande de gazzelle – eravamo affamati, avremmo mangiato qualsiasi cosa,
e mentre prepara le pain de sable, il pane cotto sotto la sabbia;
ricordo la sua vista, da far invidia al nostro binocolo, i suoi sensi sempre all’erta,
ricordo le notti attorno al fuoco, guardava le stelle e diceva:
le maroc à la gauche, le niger tout droite, l’egypt là-bas e poi
guardava stupito la nostra Michelin 953 del nord africa,
siamo qua gli dicevo, e non voleva credere!
me lo ricordo sicuro e tranquillo alla guida, - penso sia stata l’unica volta, e ne ho fatti di viaggi in africa, in cui non mi sono ritrovato a spingere la macchina o a scavare!!!

dieci giorni sono passati in fretta,
siamo di nuovo a Tam,
ci invita a bere un ultimo chai, à la maison,
domani abbiamo l’aereo, si offre di accompagnarci, stavolta quei quattro chilometri fino all’aeroporto li facciamo in land rover,
shukran, ou revoir, à la prochain – gli dico
inchallah – mi risponde, solo alcuni anni dopo ho compreso il significato di quella parola.

1 commento:

Anonimo ha detto...

se il primo impatto col deserto è un'esperienza così affascinante, VOGLIO,VOGLIO VIVERLA!!! immagino il deserto come un luogo unico in cui l'etensione dello spazio, il silenzio , il colori regalino una sensazione di libertà della mente e del fisico che si denudano delle costrizioni e degli schemi......
anna