venerdì 29 febbraio 2008

eritrea 2007



… ERITREA… ex colonia italiana…, da sempre sinonimo di guerra…, l’esatto opposto di vacanze tranquille in riva al mare…, luogo da viaggiatori temerari…

sono queste le definizioni, poco incoraggianti, riportate dalle guide turistiche, anche se dal 2000, dopo l’accordo di pace sottoscritto con l’Etiopia, questo paese ha iniziato ad aprirsi al mondo, con tutte le sue bellezze, con tutta la sua ospitalità.

per caso incontro Davide su un sito di viaggiatori, a fine anno vuol visitare l’Eritrea, non mi lascio scappare l’occasione.


prime ore del mattino, l’aeroporto di Asmara ci accoglie freddo e umido e con un’infinità di moduli e di controlli,
fuori poca gente, pochi anche i taxi – la benzina costa 2 euro, avviare il motore è un lusso che pochi possono permettersi.

Asmara, è italianissima in tutto, una roma africana, la piccola Roma la chiamavano, e l’impronta italica si vede in ogni angolo: nell’architettura, nell’urbanistica, nei locali pubblici, nei negozi, negli arredamenti e, non da ultimo, nel modo di “vivere” – ci metto pochi minuti ad ambientarmi: i larghi viali, il bar Moderno, il caffè Roma, il cinema Impero, il teatro dell’opera, i palazzi in stile littorio, le vecchie insegne,…
Quasi tutti qua parlano un po’ di italiano, o lo capiscono, i vecchi veramente bene; li vedi la domenica, eleganti, in giacca , cravatta e panciotto, anche se il taglio dell’abito è un po’ retrò, si rivolgono con garbo e cortesia, scambiano volentieri quattro parole; si vede che sono istruiti, il loro italiano è perfetto, un po’ arcaico, un italiano d’altri tempi, imparato a scuola e non in strada, per loro è un vanto l’aver frequentato le Scuole Magistrali. Direi che sono orgogliosi della propria città, del proprio Paese e di come gli italiani abbiano lasciato il tutto.

Da Asmara, a quasi 2.400 mt., scendo in autobus a Massawa verso il mare; quasi di fianco alla strada corre una ferrovia da sogno, un’apparizione, che solo chi è stato in Africa può pensare di aver visto, e forse, dopo, neanche crederci.

Costruita tra il 1897 e il 1911 da alpini e bersaglieri durante il periodo coloniale, la ferrovia a scartamento ridotto congiungeva, con i suoi 120 km e un centinaio tra ponti, viadotti e gallerie, il Mar Rosso con l’altopiano interno, un tracciato ardito, un capolavoro dei progettisti, un fiore all’occhiello dell’ingegneria italiana.

Le locomotive della Breda e dell’Ansaldo prima, e poi due moderne Littorine continuarono a percorrerla fino agli anni ’70.
Poi, durante i trenta anni di guerra con l’Etiopia per l’indipendenza, fu smantellata e ridotta a “miniera di ferro”, le rotaie e le traversine smontate per ricavarne rifugi, ostacoli anticarro e protezioni, e i vagoni trasformati in abitazioni o in magazzini.

All’indomani dell’indipendenza però, alla metà degli anni ’90, grazie agli sforzi del neo-nato governo, la ricostruzione inizia: viene rintracciato il materiale disperso, tutte quelle traversine sparse per le trincee abbandonate e, per rimettere in moto le Littorine, le Ansaldo e le Breda vengono richiamati in servizio i ferrovieri di allora, età media 70 anni, nomi mezzi italiani e mezzi eritrei, una “ciurma” di vecchi e fieri pensionati.
E il miracolo avviene, le Eritrean Railways riprendono a funzionare.
La ferrovia è solida, l’hanno costruita gli italiani.
Cento anni fa.

Fuori, tutto attorno, l’Africa.